Sogna, ragazzo, sogna…
Mamma le ha sempre chiamate parole-incantesimo; verbi di quell’insita magia che s’incide nel cuore dei popoli come rune. Ricordo che me le cantava ogni sera seduta sul bordo del letto, perché io ero un bambino monello, e come tutti i monelli faticavo a instradarmi nel mondo dei sogni. Per fortuna credevo nei prodigi, e con quella formula magica i mostri sotto il letto si sarebbero addormentati insieme a me. Non mi avrebbero fatto del male.
“Stai qui” piagnucolai“ancora un pochino”.
Mamma sospirò intenerita, o forse era troppo stanca per fare i conti coi miei capricci, così continuò a carezzarmi, e in un debole sorriso mi chiese:
“Che c’è? Non hai sonno?”
Prima di risponderle mi rannicchiai tra le coperte come un baco in attesa di schiudersi, e nel farlo osservai mamma più attentamente. Nella penombra della stanza le macchie non si vedevano più. Scorgevo soltanto il profilo liscio del suo viso e la sagoma dei suoi lunghi, soffici capelli. Per me era la donna più bella, con il profumo più buono e l’animo più grande del mondo
“Ho paura. Stasera i mostri non si addormentano”
Lei sospirò un’altra volta.
“Amore, non c’è niente sotto il letto. Se vuoi controllo di nuovo”
Ma a quel punto ci interruppe un tonfo sordo proveniente dalla cucina. Poi un altro, e un altro ancora… Sempre più forte e vicino, in salita lungo la rampa di scale che portava alle camere. Gli occhi di mamma si dilatarono per un istante. Sembrava li avesse aperti meglio, ma senza vedermi.
“Okay…” balbettò “te la canto di nuovo. Tu però chiudi gli occhi, eh”
In genere ero un bambino monello, sì, ma quella volta feci proprio come mamma aveva chiesto, e senza aggiungere altro mi rannicchiai ancor di più in modo da posare la testa sul lato della sua coscia. Ad oggi mi rendo conto che quello fu il punto di rottura in cui realizzai che le parole-incantesimo non esistono. Stavo crescendo. Cinque anni o poco più, e la vita mi stava già insegnando che i mostri non si addormentano mai, nemmeno se gli canti una canzone. Il tonfo tornò, ormai chiaro e distinto, poco più in là rispetto alla porta della mia cameretta. Allora strinsi forte la gamba di mamma, e con le palpebre sigillate ascoltai.
Sogna, ragazzo, sogna.
Quando lei si volta, quando lei non torna…
Sentivo il mostro vicino fin quasi a vederlo nel buio del mio finto sonno. Un orco alto e robusto con la camicia sporca e il passo barcollante.
Sogna, ragazzo, sogna.
Passeranno i giorni, passerà l’amore.
Passeran le notti, finirà il dolore, sarai sempre tu…
Qualcuno bussò con forza. Mamma trasalì senza smettere di cantare. Era l’Orco venuto per lei, per lasciarle le macchie sulla faccia come quelle che aveva lui sui vestiti.
Sogna, ragazzo, sogna
Ti ho lasciato un foglio sulla scrivania
“Lina! Vieni a letto. Subito!”
Riconobbi la voce di papà, ma le sue parole erano strane e appannate. Sembrava che si trascinassero a fatica nell’aria; che qualcuno ci avesse appeso un fardello per renderle brutte e deformi. Mamma continuò a carezzarmi pregandomi di dormire… Di non sentire più niente e lasciarla andare dall’Orco. Col cuore impazzito di paura e dolore, alla fine mi girai dall’altra parte e simulai respiri profondi per fingere di essermi finalmente assopito. Funzionò. Quello che sentii poco dopo sarebbe rimasto nella memoria per sempre. A mamma non lo dissi mai, ma da allora in avanti le sue parole-incantesimo avevano perso la loro magia. Non le diedi comunque il dispiacere e lasciai che me le cantasse ancora per tanto, tanto tempo, con la segreta promessa che un giorno l’avrei salvata proprio come suggeriva Vecchioni nell’ultima parte della strofa; quella che mamma non riusciva a cantarmi mai.
Manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu.
Valutazioni Giuria
1- PAROLE-INCANTESIMO – Valutazione: 43 Antonella: – La scrittura è fluida e la storia interessante. – C’è coerenza tra l’incipit e la storia Titti: Leggibile, ben strutturato. Daniela: Trama originale, forma corretta, narrazione fluida. Piena coerenza con l’incipit Ketty: Racconto corretto e grammaticalmente ben strutturato. Fluido e adeguato, nell’insieme coerente e con un’ottima attinenza all’incipit. Trama coinvolgente. Marina: Profondo, scrittura matura e consapevole che si concretizza in una elaborazione personale degli accadimenti dolorosi raccontati nel testo |